Incontri mensili di divagazioni poetiche

D i v a g a z i o n i p o e t i c h e

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini



24 dicembre 2012

COME POTRÒ di Stella Cernecca

Come potrò separarmi
da questa strada,
dalla pioggia che batte
sui vetri dell'auto,
dai campi , ampi, arati, pianeggianti.

Come potrò separami
dagli alberi che seguono il mio sentiero,
dagli ulivi che tacciono,

come potrò separarmi
dall'erba verde e ridente dei prati,

come potrò separarmi
dai negozianti di cui
riconosco le voci familiari,

Come potrò separarmi dalle persone
che incontro per strada
e mi salutano.

Come potrò separarmi
da questo cielo,
grigio, azzurro, tempestoso,
nuvoloso, rosa , acceso
giallo rosso verde?

Come potrò?

Come potrò separarmi dalla vita
quando verrà la Morte
a prendermi senza avvertirmi.
Come potrò io oppormi ad essa.

Mano fatale che mi toglierà
tutto,
mi toglierà gli occhi,
le orecchie,
il naso, la pelle, la lingua.

Mi toglierà i miei strumenti
per amare la vita
e non potrò né urlare,
né ribellarmi,
né scappare.

Sarà l'ultimo atto,
in solitaria,
una sfida che accadrà
e la Signora Morte
vincerà:
la mia unica vera nemica.

Gocciolanti resteranno gli umani,
con la pioggia che batte sui vetri
e il comignolo della casa
che riprende a fumare il suo sigaro.

21 dicembre 2012

UN GIORNO di Attila Jozsef letta da Maria Bendazzoli


Un giorno...

Un giorno verrà a prendermi la morta
che mi dié vita, mi cullò cantando.
L'amore ecco svanisce nel mio cuore,
la fedeltà si eclissa, nel silenzio
tornano i canti. Simile allo spazio
si allargherà la mente. Apparirà
l'anima cosa vana: ciò che fu
pazienza per l'esistere, l'immagine
rovesciata del mondo, dentro me
sperduta vagherà. Si sfarà il corpo
come un tessuto roso dalle tarme.
E verrà allora a prendermi la morta
che visse, che cantando mi cullò.

CESOIE DELLA VITA di Rosanna Ruffo

Una vecchia nodosa vite
tende i suoi tralci
in un filare di quotidianità.
Spuntano le gemme
nel gocciolio di primavera
risvegliandosi dal torpore
ingrigito dell’inverno.
Nasce, una nuova vita
contrastata
dai dilemmi del vivere.
Arduo percorrere i passi
contaminati da mille precarietà.
Una cesoia
recide silenziosamente
l’acerbo virgulto
che, con un piccolo tonfo,
si inginocchia sulla nuda terra
cercando risposte ai suoi perché
tra la polvere sollevata.

 

 

                                                     

 

GOCCE D’ACQUA E DI VITA di Rosanna Ruffo

Avvolta nell’oscurità della notte
scorre limpida l’acqua
con la sua linfa vitale.
Galleggia nel grembo il bimbo
e le prime lacrime
lo aprono al dono della vita.
Il desiderio come un ruscello
scende a fecondare la pubertà
che assetata di nuove esperienze
rinvigorisce le sue sponde.
L’acqua, nell’avanzare degli anni
si espande in un fiume
e le terre fecondate dall’amore
risplendono dei fili verdi
della speranza, ma, a volte,
scardina anche gli argini
travolgendo inesorabilmente
ogni valore in una marea di fango.
I sentimenti sprigionati
nel bene e nel male
cercano un lavacro di rugiada.
L’oscurità della notte
avvolgendo in un soffio
la prima foschia del mattino
forma gocce d’acqua
che sono fonte viva
per la nostra vita.

 

 

                                                     

 

15 dicembre 2012

ALLA MIA MORTE SOPRAVVIVERAI di Pablo Neruda letta da Luisa Rinaldi



Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo sorriso nè i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.
E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio , morirò nuovamente.

11 dicembre 2012

CENA DEGLI AUGURI

Da una idea di alcune Donneinpuntadipenna


Sabato 22 dicembre alle ore 20.00

CENA DEGLI AUGURI

REGALIAMO UNA POESIA

L'evento è aperto a tutti, soci e non soci, di qualsiasi gruppo (Teatro, Filosofia, Pittura, Poesia, Autobiogafia ecc.) e singole persone. Un modo lieto per incontrarsi e farsi gli auguri.
Portate un vostro scritto in versi (ma anche in prosa) e raccontate il vostro Natale.
Lo potrete regalare all’ALBERO DELLE POESIE del Circolo Arcimontorio.

A seguire, nella solita saletta, si leggeranno gli scritti sul Natale accompagnati dalla musica e dalle immagini.
Alla fine pandoro e spumante per tutti.


 

VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI di Cesare Pavese




Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla


Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.


 

AMEN di Marisa Venturi


Una mattina di un giorno qualunque
una sera di una giornata piena
Oppure in una notte di solitudine
ti aspetta un cambio di residenza.
Non importa chi sei stato
Non importa neppure se hai amato
o odiato
Se hai generato figli o non ne hai avuto
Se tua moglie ti era fedele o infedele
Non importa se l’arrosto del macellaio
non era all’altezza della cena
Se gli ospiti hanno finto di gradire
Se qualcuno ti ha fatto uno sgarbo
Se c'è chi ti ha regalato una rosa
Nutrita con la riconoscenza
Nessuna importanza ha l’aspetto
sciatto di barca in approdo
Senza cure e  rimessaggio
Inutili le preoccupazioni
per la frangia troppo lunga
che nasconde la vista.
Cosa c’è ancora da vedere?
Non importa più ad alcuno
l’eloquio brillante o schivo
le relazioni
pazientemente intessute
E quelle altre,
dimenticate.
Non importa più l’altezza
degli alberi di confine
Indifferenti ti saranno gli uccelli
che seminano guano
sulle tue violette
In realtà non ti importeranno neppure le violette
E i  ricordi non ti apparterranno
Si sono spenti quelli dell'età dell'oro
Spento è l’indefinibile
Spenta la luce del desiderio
Ora importa solamente
Che tuo malgrado
Nonostante i sospesi e i non risolti
Hai cambiato residenza.
Ti hanno trasferita altrove.
Anche tu sulla Collina.

VITA E MORTE, MORTE E VITA di Marisa Venturi


VITA E MORTE
MORTE E VITA


L’ordine fa la differenza
e il risultato cambia.
Se prima scrivo Morte
penso che Vita
equivale a Rinascita

Se prima scrivo Vita
la Morte diventa
l'ultima riva, l’approdo.
E che altro? E che altro?

Amen

 

INCALZA LA VITA di Betty Marchi


Incalza la vita.
Tramonti ed albe.
Il verde dell’estate.
Cieli e mari.
Lunghe notti ad ascoltare
la sapiente luna.
Giorni di rose sfogliate
nelle chiare primavere.
Autunni pervasi d’oro.
Incalza la vita quando
al mattino presto
i miei passi veloci sulla ghiaia
sono l’unico rumore udibile,
mentre in lontananza già la neve
si è distesa sui monti.
Incalza la vita con la sua potenza
quando ancora mi racconta l’amore
Le pene s’acquietano
se la gioia illumina.


10 dicembre 2012

VERSI DI MORTE, VERSI DI VITA ricevo da Betty

Ricevo da Betty e estendo alle amiche e agli amici di Arcipoesia:

Bella serata  equilibrata e scorrevole.
Che piacevole, chiaro e preciso l'intervento della professoressa!
Mi è piaciuta la sua proposta di ritrovarci l'anno prossimo per approfondire la tematica di ieri sera, così importante e soprattutto così inesauribile. Sarebbe bello riuscissimo a farlo.
Curioso poi che le poesie sì siano alternate con saggezza, come si fossero accordate segretamente fra loro di passare dall'impegno alla tristezza, dall'ironia alla disperazione, dalla leggerezza alla soavità, per rendere il tutto più gradevole e vario.
 
 
Grazie Betty perchè hai riassunto per noi le emozioni della serata. Grazie anche per il tuo contibuto poetico e di immagini.  
Grazie a Bruna Meneghello per le riflessioni filosofiche  a Linda Faustini per la dolcezza dei  brani musicali con l'arpa.

3 dicembre 2012

APPUNTAMENTO DI DICEMBRE

Cari Amici di Arcipoesia

Dicembre, mese dell'Attesa.
Attesa della luce dopo i lunghi giorni del buio, attesa di un nuovo anno, con la speranza che sia migliore di quello che se ne va, attesa della rinascita che la religione propone con la nascita del bambino... .
Il prossimo appuntamento, dal titolo all'apparenza poco lieto, è invece una buona occasione per parlare di questioni profonde sulle quali si sono cimentati i filosofi e i poeti.
L'introduzione la lasciamo alla Dott.ssa Bruna Meneghello, docente di Filosofia.
La Dott.ssa Meneghello conduce un Corso di Filosofia  presso l'ARCI di Montorio.
L'arpa celtica di Linda Faustini accompagnerà le nostre letture.

Spuntino del Poeta:  Polentina calda con soppressa veneta e verze in teia; piatto economico e gustoso. Come sempre telefonate a Giovanna la vostra presenza. Serve la tessera.
Dessert  finale offerto dalle Donneinpunadipenna.

Vi aspettiamo con le vostre poesie

16 novembre 2012

LA CUNA di BERTO BARBARANI letta da Luisa Rinaldi


Un late che spiuma
'na tenda che franse,
un tato che ruma,
'na vosse che pianse...

Al ciaro de luna
ho visto 'na cuna

La camara granda,
fodrada de speci,
el par che la spanda 
el gusto dei veci,

che vede el neodo
stampado a so modo.

La porta se gira,
vien 'vanti un passeto,
el tato se tira 
la man sul museto,

la mama lo basa che 
che trema la casa.

Bocheta de dama
bocheta de fraga;
mi son la to mama,
mi son la to maga...

La luna camina 
de drio la tendina.

Che vuto, tesoro,
par far che te tasi?
Te cargo de oro,
te cuerso de basi...

La luna se ostina 
de drio la tendina...

El tato fa segno 
de ridar, po' el tase...
A lu, no ghe piase 
che i tati de legno,

ma tanti e col s-ciopo
che diga: Te copo!

Ghe basta 'na scianta
de late, la teta,
la roba più santa,
più dolse, più s-cieta;

ma lu no pol dirlo...
Bisogna capirlo...

La mama se mola
un poco el corpeto,
la boca se incòla,
el tato l'è chieto...

La luna se inchina
de drio la tendina! 

SAN MARTIN di BERTO BARBARANI legge Adriana Maculotti

 
- Dunque?
- No 'l vol saverghene. - L'à dito.
l'è du mesi che tribulo e che speto...
Via da mi, via da mi; ve lasso el leto,
ma el resto me lo tegno par l'afito.


G'ò un fiol a i studi che no 'l fa pulito,
G'ò el predial da pagar, che son poareto...
Se me portè fin l'ultimo scheeto,
forsi... cissà... che no tiremo drito!


-Mi g'ò risposto che te sì malada,
che te si anca in stato interessante!
L'à sigado "doman ve buto in strada".

 
-G'ò zontà che a andar via ti te me mori...
Seto cosa el m'à dito, quel birbante?
"Che i fioi ghe li lassemo far a i siori!"

 
La pora incinta, co i dolori a torno
e el fagoto de quela creaturina,
co la febre, l'angossa, el capo storno,
la s'à messo a frugnar par la cusina.


El giorno dopo propio a mesogiorno,
co 'na pioveta fina, fina, fina
e un vento che parava de ritorno,
i à cargado una mesà caretina...


E via de corsa, in volta, par cercar
qualche buso distante da le piasse
par no spéndar, 'na caneva...un granar...


Pori pitochi messi su le asse!...
Dise la gente che li vede andar:
Largo, che passa un San Martin de strasse!

15 novembre 2012

GHE PROVO di Elisabetta Marchi



Per la prima volta scrivo en dialeto,
parlo il dialeto!
Lo so non son bona,
ma ghe voi provar
così par zugar!
Le parole le se srodola,
le se descola,
le va sul foio come na mola....
Le rimbalsa tra le righe
e pian piano le me dise:
"Lasa star el dialeto,
te lo roini poareto!
Accontentate de scrivar quel poco che te pol
in quel modo che te sé!
Ma se proprio col dialeto te vol zugar,
prima vatelo a studiar!"

A I ASILI di BERTO BARBARANI letto da Anita Pavan



El primo giorno che i m'à messo a scola,
g'avea i oci che i parea grondai,
par davanti parava una cariola
e strapegava par de drio un tranvai.

'Pena drento un maestro co i ociai
el m'à tirado arente a la so tola;
'na puteleta la me fasea «ciai»
con le manine impastrocià de cola.

Po i m'à dato na bela caregheta,
mi no voleva e i m'à supiado el naso,
e so 'ndà a rente a quela puteleta.

Émo discorso un poco... Ela, poarina,
la s'à tirado su par darme un baso
e mi g'ò messo in boca una faolina!



Felice Casorati

DASIME UN S-CIANTIN DE SILENSIO di Marisa Venturi


Paesaggio sonoro notturno del condominio AGEC al numero 16 di Via Casenuove, a fregio della tangenziale


Poesia a versi spetenadi in lingua madre
 

Quan de note tuti quanti i se tase
E mi rugolo in meso a le coerte
E i motori che brusa la pressia
I se sponsa e  finisse el bordel
Finalmente me dò na calmada

El silensio, che belo, el te cuna
El se infila fin su ne la mente
El te sbrassola, el te basa,
el te sfiora, el te ruma
el te sgonfa le rece de gnente

Ssss tasi, 
voi ‘n s-ciantin de silensio
Voi sentir el ci ci dei usei
quando i dorme i soni legeri
Sté siti che me scapa i pensieri!

Voi scoltar el sofio del vento
Quel che l’arfia dai monti Lessini
Quan  dal vaio el petena i copi
Voi scoltar le foie che casca
e sentir  el respiro dei pigni

fffffff

E spetando la note più fonda
L’orologio che ‘l bate i tri colpi
La sieta sul cuerto
la raspa la gronda
I gati nei campi  i ciama l’amor …

aaaaah

Eco, i tase.

Sospesa nel bossolo
de tuto sto udo
Cunada dal scuro
e ninada dal gnente
Par ‘n poco me paro
un putin ’n te le fasse
Col  garbo chieto
de un cor  in pace
sero i oci pianin

Sss sss ss senti.

Senti  el merlo
el saluda dal pigno
el ciaro che nasse.
El sifola alegro la so sinfonia
Quelo sì l’è sonoro,
l’è come ‘n violin
 
Ehhhhh
Quelo sì l’è poesia!

Ma se el ciaro el sveia i usei
Se el sol el scancela le ombrie
El ciasso, paron de le strade,
el ne stofega el centro e le periferie.

Quan de giorno scominsia la corsa
E resussito da in meso a le coerte
E i motori che brusa la pressia
I se agita  e  scominsia el bordel
Me rassegno e me do na calmada
E me abituo o me brusa el servel.

Vvvvoooooooennnnnn

 

 

 

 

14 novembre 2012

L'ADESE DI TOLO DA RE letta da Franco De Grandis


L'Adese
nasse italian da na mare todesca a Passo Rèsia.
El se destaca da la teta de giasso.
El scapa a salti, a sbrufi:
discolo, garibaldin
no gh’è rosta che tègna
da Val Venosta, freda maregna,
el vien zò a rebaltoni.
A Maran el s’à fato i ossi.
I vol scarparlo, imbragarlo.
Gnente!
Descàlso el core,
selvàdego,
o l’ocio verdegrìso,
co na canta mata tra i denti.
Ai monti ghe ride le greste:
tute rosse dal ridàr, iè.
A Bolzan l’è un giovinoto
vestì de pomàri e de vegne
co l’ultima resina nel fià.
A Trento el va soldà:
la caserma l’è sul monte
griso, insulso, pelado.
Iè scarponi le scomode rive,
iè stelete le stele del cel.
I sogni dei vint’ani
i se impìssa,
i se indrìssa,
i va in oca,
i se perde
drio’l canto verde
de na ràcola,
un gril.
Ala, Peri, Dolcé.
La naia la fenisse,
l’Adese sliga el sangue.
A Ceraìn el sbréga la divisa;
el spùa na parolassa
contro el Forte de Rivoli tognin,
el ghe volta la schena,
el sbàte via
l’ultimo ciodo de la crucarìa.
El se cava i scarponi,
el core in sata,
el respira,
el se destira,
el se veste de persegàri,
l’è maùro,
l’è morbinoso,
el ga vòia de sposarse.
Pescantina, Parona,
i vol fermarlo al Ceo:
el barufa con la Diga,
el sbordèla, el vinse, el passa.
Eco Verona
sotobrasso de Ponte Castelvècio:
l’è tuta bela,
tuta ciara e calda.
L’Adese l’è imamàdo,
l’è in confusion,
l’è timido,
el se pètena,
el se lustra,
el se veste de muraiòni,
el se méte in testa i ponti,
el canta de tuta vena.
Adesso el se scadèna
el ciapa fià,
el la basa.
Co na “esse” el la brinca tuta,
co na “esse” el la ciama Sposa.
“In eterno! In eterno!”
sbroca tute le campane.
Nono Rengo el se desmìssia,
el stranùda.
el se incocòna,
el discòre come un sindaco,
el se torna a indormensar.
Castel San Piero l’è un altar.
Fiori bianchi iè i cocài:
i ga in beco un “si” bramoso.
“In eterno” In eterno!”
le campane no ga più vosse,
le va in leto a una a una.
Ponte Nave, Dogana.
Al Camposanto l’Adese capisse:
adio Verona, adio Verona.
L’Angelo da la tromba
el saluda co na sonada ingiassada,
dura, garba,
fàta de làgreme e de piera.
L’Adese el se despera,
el camìna come ‘n òbito,
el ga l’anima de un vedovo,
el se smòrsa,
el se trascura,
el se spòia de muraiòni,
el se lassa la barba longa,
el tase tuto,
el vol morir.
Al Ponte de la Ferovia
el struca i denti,
el scantòna,
el vol desmentegàr Verona,
el vol tornar baléngo,
desbriàdo,
e che la vita torna a sventolàr.
El camina de onda,
el rìva al Porto,
el buta l’òcio a l’ultima montagna.
A San Michel
el sfodra la campagna,
Boche de Sòrio, Zevio.
Eco la Bassa
svacada nel lùame,
rassegnada, descàlsa,
dai giorni imbriàghi de sol,
da le noti in man a le rane.
L’Adese el se impìsola,
el mete pansa, el rònfa:
nasse sogni pitòchi,
cuciàdi, stofegàdi.
Ronco, Albaredo,
ècolo che’l se svéia:
l’è rabioso,
l’è dispetoso,
el camìna a bissabòa.
A Legnago l’è cativo,
el fa dano, el se ribèla,
l’òcio neto el ghe se intòrbola,
no’l dorme più, no’l ride più.
Gh’è qua la Tera Polesana
che l’è na mare straca de fiolar:
agra, monta,
grendenàda:
la se spalanca a Badia
co na ragosa e dura poesia.
L’Adese ormai l’è sordo,
el còa el so morir come i veci,
l’è un vecio,
la fumara
ghe fa bianca la barba.
Al campanil de Cavàrzere
el sente ‘l mar nel naso.
El sospira,
el capisse,
el lassa un testamento:
“Le me aque a la gente vèneta,
a Verona l’anima mia”.
Dèsso l’è in agonìa:
el rantola,
el se sbianca, el se tàca a la tera,
el spalanca la boca
come par saludar.
Ormai l’è quasi mar.
Eco,
dèsso l’è mar.

 
 
Tolo da Re

 Vittorio Da Re conosciuto come "Tolo Da Re", nato a Brescia nel 1918 da genitori di origini atesine ma a Verona da generazioni. Morto nel 2005.

13 novembre 2012

L'AMOR di AGNESE GIRLANDA


“L’AMOR...”

 
L’Amor...
con la “A” granda,
el passàva da lì par caso…
forsi no’l savea
quanto bordel el podea far
tocàndo ’pena
la sòga de quela canpana...

 Se sbiacava la luna
’nsenociàndose
davanti a la matina ciara
dal soriso infilà fra i cavéi!

...Cantava l’istà
sconbatèndo ’n te’l cor
come i pistoni de’n trator,
’spetàndo le lame del sol
brusàr ne l’anema inebiàda,
inbocando ’na strada longa
de sogni sensa cao.

 

L’AMORE

L’amore… / con la “A” grande/passava da lì per caso/ forse non sapeva quanto rumore

poteva fare /toccando appena/ la fune di quella campana …//Impallidiva anche la luna/inginocchiandosi/davanti al mattino chiaro/dal sorriso infilato fra i capelli!//… Cantava l’estate/ pulsando  nel cuore/ come i pistoni di un trattore,/aspettando le lame del sol/bruciare nell’anima annebbiata,/imboccando una strada lunga/ di sogni senza fine.

12 novembre 2012

ARCIPOESIA QUESTA SERA 12 NOVEMBRE

Un gruppo di noi si ritrova questa sera alle ore 20.00 per la Risottata dei poeti. A seguire, alle ore 21.00, le poesie:

CANTAR VERONA
I luoghi, le persone, le storie ... .
Introduce con alcune riflessioni il
Dott. Piero Sartori
Accompagna con la fisarmonica il
Maestro Giuseppe Zambon

Vi aspettiamo
Per il risotto serve la prenotazione. Telefonate a Giovanna. 

9 novembre 2012

RISOTTATA

Cari amici di Arcipoesia
sollecito la vostra prenotazione per la Risottata del Poeta, ore 20.00. Sarà un piacevole modo per conoscerci meglio.
Alle ore 21.00 passeremo nella saletta della poesia per il consueto appuntamento del secondo lunedì del mese.
Riflessioni introduttive di Piero Sartori.
Interviene nelle letture Armando Lenotti.
Ci accompagna con la musica il fisarmonicista Giuseppe Zambon.
Vi aspettiamo numerosi.


Giovanna

5 novembre 2012

BASTAVA di Roberto Targon

Bastava
un colpo di luce
tra noi
per stravolgere le forme
della montagna
che ci divideva -
un tramonto colmo di vita e fiori
tra i bordi
di quei sentieri vissuti -
e la speranza
che
in un attimo
tutto potesse cambiare...

Roberto Targon

20 ottobre 2012

ATMO SFERE di Bruna Meneghello

Poesia in versi sciolti, molto sciolti
quasi liquefatti



Atmo sfere

Arrivano
riservati,
consultano il notes,
il quadernetto,
nella mano stretto.
Silenzio.
Si diffonde un suono caldo
di mani che applaudono.
Silenzio.
Parole si spargono,
entrano nel profondo,
rimbalzano su ricordi e pensieri.
Silenzio.
Un caldo suono
di mani che applaudono.
Parole si spargono,
spostando le particelle d'aria,
creando una sphera.
Una magica atmo sfera
Una bolla senza tempo o spazio.
Si diffonde un suono caldo
di mani che applaudono.
Silenzio.
Le parole risuonano, stanche, senza ritmo.
I maghi rivestono gli abiti grigi
le voci, per gli angoli, si disperdono.
Tornerà la magica sfera?
Forse.

-Il prossimo incontro-
 

 

19 ottobre 2012

CI SCRIVE ARMANDO LENOTTI

Care amiche, cari amici
ho passato un'estate un po' tribolata, in cui non mi sono praticamente mai mosso da casa per problemi ad un ginocchio.
In queste condizioni cosa potevo fare? Ho messo ordine ad alcune poesie e ne ho fatto un nuovo libretto dal titolo: "Come un pelegrin de Compostela", poesie e canzoni in dialetto veronese.
All'interno della manifestazione Librar-Verona (di cui vi unisco parte della locandina), sabato 20 ottobre alle ore 17,30 in Piazza dei Signori lo presenterò insieme alla cara giornalista e scrittrice Paola Azzolini, che ne ha curato la prefazione. Mi aiuteranno nella lettura due fedeli amici, l'attore Tiziano Gelmetti e l'avvocato Guariente Guarienti.
Un tendone ci coprirà in caso di pioggia.
Concludo: se le mie storielle vi piaceranno, un po' di merito me lo devo pur prendere.
In caso contrario, potrete dare la colpa al menisco!
Vi aspetto numerosi.
Armando

16 ottobre 2012

Chi è il poeta? ALFONSO GATTO

Uno dei poeti più significativi del '900 italiano: Alfonso Gatto. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti affermava
in un articolo sul "Politecnico" di Vittorini nel 1947:

“Se voi mi domandate perché un poeta scrive, in che modo si è deciso a scrivere, se voi ricordate quel ragazzo seduto nella sua stanza diroccata, comprenderete perché la poesia appartenga agli uomini che non si difendono, che passano nella vita, lungo tutta la vita, senza appropriarsene, amandola anche per gli altri che credono di averla spesa o di poterla spendere senza nemmeno mai riuscire a destarla”.

Le più belle poesie di ALDA MERINI


 

 Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le mani aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso nè ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto perchè
sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata.

 

(da "Vuoto d'amore")
 
 

 

POESIA PER RENÉ GUY CADOU DI JORGE TEILLIER letto da Giovanna Martini


 
Parlare d’un poeta
È parlare delle colline, degli stagni, delle distese della memoria,
dei pesci, dei rampicanti, delle mareggiate.
Poeta dal nome chiaro come un ciottolo in mezzo alla corrente,
mettevi insieme parole come selci,
parole un po’ semplici e rustiche
da cui nasce un fuoco che non è dimenticato.

 
René Guy Cadou, poeta amico del barilaio, del postino, del guardaboschi e del contrabbandiere,
vivevi in un villaggio di seicento abitanti.
Lì eri professore di una scuola rurale
il peso dell’odore del giardino soffocava l’aula
come l’aula dove anche tuo padre era stato maestro.
Ti piaceva parlare con la gente che assomiglia alle pentole di creta,
camminare a piedi nudi come i bambini,
guardare giocare a carte all’osteria.
Di notte leggevi alla luce d’un fuoco di spini
mentre i gatti facevano le fusa e tua moglie cuciva
(Helena, cui dicesti che sempre sareste vissuti in cielo).
Avevi un poeta preferito per ogni stagione.
In autunno era Verlaine, la primavera fioriva con tutte le rose di Ronsard,
l’inverno portava la carrozza di Meaulnes
e la stagione violenta, il rumore di spade cozzanti in una locanda di Alessandro Dumas.
Tu non eri mai solo,
t’illuminava il ricordo di tuo padre che tornava dalla caccia invernale.
E mentre i tuoi amici andavano al Caffè
alla Brasserie Lipp o al Deux Magots,
tu salivi in camera tua
ed affrontavi il Volo raggiante.
A prua della tua nave
t’affacciavi a vedere le vie del tuo paese di pantani e fate e mari,
tracciate come le righe d’un quaderno di scuola.
Le tue parole arrivavano
come uccelli che sanno che c’è sempre una finestra aperta alla fine del mondo.
E le poesie erano girasoli accesi
che nascevano dal tuo cuore profondo e segreto,
riscattate come la nostalgia,
l’unica realtà.

 
Tu sapevi che la poesia dev’essere usuale come il cielo che ci sopraffà,
che non significa niente se non permette agli uomini di avvicinarsi e di conoscersi.
La poesia si deve scambiare come una moneta di tutti i giorni,
e deve stare su tutte le tavole
come una bottiglia di vino il cui canto illumina segretamente, i sentieri domenicali.
La poesia
è un respirare in pace
perché gli altri respirino.
Sapevi che le città sono incidenti che non prevarranno sugli alberi.
Che la poesia non si grida sulle piazze né si va a vendere sui mercati di moda,
che non si scrive con saliva, con benzina, con smorfie,
né col povero umore di quelli che vogliono richiamare l’attenzione
con scherzi da pagliacci pretenziosi,
e che non servono a niente i grandi discorsi balbettanti di chi non ha niente da dire,
e trasforma la poesia in una stanza cieca ed insalubre.
Una poesia deve essere
Un pane fresco,
un cesto di vimini
e deve essere letta dagli amici sconosciuti
sui treni che arrivano sempre in ritardo a paesi sperduti,
o sotto i castagni delle piazze dei villaggi.
Qui pochi sanno che cos’è una poesia,
pochi si sono messi con la faccia al vento in mezzo al grano,
pochi sanno che cos’è un poeta.
Tu se morto in una stanza dove si radunava tutta la primavera,
guardando una cesta di mele.
“Ho visto morire un principe”
ha detto uno dei tuoi amici.

 
E questo primo di novembre
quando mi circondano i morti che sempre stanno con me,
penso alla tua serena e rude fede
che posso amare
come una piccola chiesa azzurra di paese
dove c’è un prete anziano che non chiede nient’altro che spartire il suo pane.
Tu parlavi col tuo Dio
come col povero figlio del falegname
perché sapevi che ogni giorno si crocifigge anche un poeta.
(Gesù aveva trentatre anni
Jean Arthur anche era Cristo
crocifisso quando ne aveva trentasette).
Ma a te non importava che ti sputassero in faccia o ti dimenticassero
perché nessuno potrà impedire a un uccello di cantare
e il poeta abbattuto
è solo un albero rosso che segnala l’inizio del bosco

 

 

                                                                                     Note sull’autore:

Jorge Teillier 1935 – 1996

Poeta cileno legato ad una memoria poetica; per lui la poesia fu esperienza di vita, sempre alla ricerca di simboli ancestrali. Grazie a questa sua ricerca primordiale, è considerato uno dei poeti più originali del Cile di oggi.

11 ottobre 2012

GRAZIE A LISA E ALDO

Ringraziamo la brava violinista Lisa Agnelli e il chitarrista e amico di Arcipoesia  Aldo Zappacosta che hanno contribuito a rendere piacevole la serata.



IL POETA di Marisa Venturi



 Il poeta
È un giocoliere
Rimpalla le sillabe
si trastulla con gli echi
Funambolo
nei giochi
su una corda
di violino.

Il poeta si abbandona
in attesa della parola
che risuona,
che in verticale
sale
da un filo d’erba
o da uno stelo

Il poeta
Se incontra le spade del dolore
Le sfila dal petto a una a una
le lucida con le parole
le rende inoffensive
con il verso
E scrive memorie
di guerre tra dei.

Il poeta
è sensibile alle foglie
che cadono
a quelle che resistono
a quelle che escono dal ramo
quando la natura
è a compimento
Il poeta
con lo smarrimento
dei poeti
Osserva e compone

Il poeta 
è sensibile al rumore delle stelle
frequenta il mare delle maree
Raccoglie in una coppa
gli umori della luna,
(Santo Graal dei poeti).
E beve

Il poeta
sussurra alle pietre
schegge di parole
Scrive
con l’humus della terra
Nelle foglie decomposte
Nello scroscìo rapido
di acqua limpida
Nel fango limaccioso
e fetido
il poeta legge
risposte

Il poeta  
dalla marea  
prende conchiglie
per sentire l’ira delle onde
Il poeta
ruba il soffio del vento
Il poeta
vede il presente dentro
la conchiglia vuota
vede il futuro nella parete bianca
e il passato
nella stagione che avanza.
Il poeta  
resta  spesso in  attesa.

Come l’isola
il poeta
si circonda di mare profondo
Su cui lascia una barca senza remi
Per essere raggiunto

A fatica.

                                                                     Marisa    Settembre 2012