Incontri mensili di divagazioni poetiche

D i v a g a z i o n i p o e t i c h e

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini



29 aprile 2012

POESIA di CLAUDIO MARIA ZATTERA


SE SCRIVO LIBERTA’  (25.04.2012)


La libertà è la possibilità
di fare e di essere, quell’area
dove ognuno è responsabile di sé
stesso e nessun potere lo sovrasta;
è libero di vivere, d’amare,
di pensare e di scegliere la via
del destino che lo promuova uomo:
senza corpo a limitarne il volo;
impalpabile ala di Pegaso;
una testarda bandiera che non
smetta d’inseguire il soffio del vento.
Trincea d’ Africa era il confine
arido, c’erano soldati, anzi
parevano i fiori soffocati
al sole ed alla sabbia del deserto,
immolati ad un tiranno qualunque
senza onore né gloria ,né coraggio.
L’ angelo sottotenente raccolse
una preghiera dal pio petto d’ossa:
“Entrambi siamo aedi di un dialetto
che Dio non parla: prova è la morte
sotto le stelle dell’Orsa, Atena
e non Madre la notte degli eroi.
Se io scrivo il tuo nome, libertà,
sulle pareti di questa polvere
nemica e sconosciuta sarà il tempo
di una lacrima a baciare i miei
figli lontani e amati, e liberi
finché avrò fede”.
Catene della memoria infondono
pace bugiarda che consola il cuore
confuso, pellegrino disertore
dalle divise del sangue d’agnello,
mentre i padri rivivono in ricordo.
Se “libertà” sarà parola loro,
la pronuncerò fino alla sostanza,
consumerò quel pane benedetto
e darò tutta l’anima al suo pasto,
al mutilato spettro nello specchio
delle stagioni ormai violate.
Mi riconoscerò dalla giacchetta
con lo zaino, alla prima stazione,
senza orologio.  Il capotreno dirà:
“Non c’è fretta … non c’è tempo! Un carro
vale l’altro … vanno a casa … se sali
non puoi scendere: sei libero”.

28 aprile 2012

POESIA di EGIDIO MENEGHETTI letta da FRANCO DE GRANDIS

  L' EBREETA

                 
Stanote s’è smorsada l’ebreeta
come ’na candeleta
de seriola
consumà.

Stanote Missa e Oto
ià butà
nela cassa
du grandi oci in sogno
e quatro pori osseti
sconti da pele fiapa.

E adesso nela cassa
ciodi i pianta
a colpi de martèl
e de bastiema
(drento ale cele tuti i cori trema
e i ciodi va a piantarse nel servèl).

E a cavàl dela cassa
adesso i canta
esequie e litamie:
«heiliges Judenschwein
ora pro nopis,
zum Teufel Schweinerei
ora pro nopis»

Stanote s’è smorsada l’ebreeta
come ’na candeleta
de seriola
consumà.

Quel giorno che l’è entrada nela cela
L’era morbida, bela
e par l’amór
maura,
ma nela facia, piena
de paura,
sbate du oci carghi de’n dolór
che’l se sprofonda in sècoli de pena.

I l’à butada
Sora ’l tavolasso,
i l’à lassada
sola, qualche giorno,
fin tanto che ’na sera
Missa e Oto
i s’à inciavado nela cela nera
e i gh’è restà par una note intiera.

E dala cela vièn par ore e ore
straco un lamento de butìn che more.

Da quela note no l’à più parlà,
da quela note no l’à più magnà.

L’è là, cuciada in tera, muta, chieta,
nel scuro dela cela
che la speta
de morir.

Sempre più magra la deventa e picola,
sempre più larghi ghe deventa i oci.

Cos’ela? ’na veceta stracampia,
o ’na butina nèmica e scunìa
che, ingrotolida nela carestia,
la te sberla le ociare dala Cina?

Ma nova luce splende nei so oci:
ela no l’è che du gran oci in sogno
e quatro pori osseti
sconti da pele fiapa.
Ebreeta, cos’elo che te speti
e ci vedeli mai quei oci grandi?
forsi to mama? forsi el to moroso?
opura i buteleti
che mai te g’avarè?

Ebreeta, te vo’ morir de fame
e nela fame t’è desmentegado
quela note e sto mondo strangossado
da tormenti e da bisogni.
Te si scapà nel mondo dei to sogni:
la fame ghe volea,
picola ebrea,
par darte un poca de felicità.

Ormai fora da l’onda
dei dolori,
lontàn te miri,
piàn pianìn te mori
e caressa legera
de soriso
te consola la boca moribonda.
Po’ te chini la facia
verso tera
sempre più.
sempre
più.

Stanote s’è smorsada l’ebreeta
come ’na candeleta
de seriola
consumà.
( Egidio Meneghetti)
          

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SI INVITANO TUTTI COLORO CHE HANNO PORTATO  POESIE PER IL 25 APRILE A SPEDIRLE A arcipoesia@gmail.com.
Grazie e ricordate il prossimo appuntamento del 7 maggio.



27 aprile 2012

Liberté [Les Paroles Ont Des Ailes] [Altamira]



un grazie a Giancarlo Beltrame

POESIA di BETTY MARCHI


Viaggio in libertà
Libera liberamente
libro verso paesi lindi tra terre e lande,
lungo sponde trovo fronde e arrivo al mare con le sue onde,
cammino tra lunghe lingue di terra
su cui languo
e poi mi allungo verso cieli limpidi
attraversati da lampi.
La luna falce si staglia
ed io sveglia resto regina incontrastata…
libera e liberata.


POESIA di LUCIA FRANZINI


La mia Libertà

A tre anni, già sapevo che la libertà
era gioia e sorriso, ma, questa vaga parola,
(m’aveva avvertita papà) costa cara
non fa sconti, niente e nessuno la regala.
Per questo s’incrina la voce alla parola Libertà.
Guardo in alto quel puntino che si libra in cielo;
Sei tu colomba, fiore, foglia, farfalla ?
Raggiungerti ? Sospiro profondo, mi commuovo.
Per noi donne, liberarci, ha significato spesso
restare sole, piangere lacrime nere,
strapparci con le unghie la carne di dosso,
rischiare gravi perdite affettive e rendite sicure.
Fin dalla genesi un padre disumano
ci ha escluse, cacciate dall’albero del sapere.
Un gomitolo lungo millenni di storia
ci avvolge stretto come un bozzolo di filo spinato.
Lacerante sottrarsi all’altrui soggezione,
doloroso riscattare la nostra dignità.
Ma la consapevolezza mi ha resa libera,
con il contributo degli anni trascorsi: l’Età!
Ora , come farfalla cangiante, sei tu che
mi corri incontro ambigua amica- Libertà !
Ed io t’accolgo gioiosa, a braccia aperte ,
ti sento infine e volo con te leggera e danzo …
e rido …e canto : ” Sempre libera degg’io.”

Lucia

POESIA di MARISA VENTURI


LÉGAMI
Légami
col filo del tuo desiderio
col nastro dei mille colori
con la corda dei sette mari.
Légami
con fredda plastica trasparente
da conservazione
Con lenza robusta
e ami da pesca di altura.
Légami
con nappe e coccarde
con fili di perle
       con cristalli Swarovski  brillanti
         Come un oggetto da esposizione.
Légami forte
con fili di lana
matasse di buone intenzioni
Con spago per arrosti,
   paciosamente.
Légami
    con  cravatta Regimental
accessorio banalmente erotico
per frettolosi amori.

Légami
                                                           unendo i cordoni ombelicali
                                                            delle mie mille gravidanze

Légami
                                                                    col filo di ferro
                                                                 delle tue convinzioni
                                                      con l’acciaio delle tue presunzioni

Légami come ti pare  
                                                                 Io sarò sempre libera.



26 aprile 2012

POESIA LETTA DA ALFREDO POLI



di Ghiannis Ritsos (Monemvasià  1 maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990)



LE COSE ELEMENTARI

In modo maldestro, con ago grosso, con filo grosso,
si attacca i bottoni della giacca. Parla da solo:
Hai mangiato il pane? Hai dormito tranquillo?
Hai potuto parlare? Tendere la mano?
Ti sei ricordato di guardare dalla finestra?
Hai sorriso al bussare della porta?

Se la morte c’è sempre, è la seconda.
La libertà sempre è la prima.

POESIA LETTA DA ARMANDO LENOTTI


Alla memoria di Rita Rosani, il veronese Egidio Meneghetti (1892-1961), presidente del Cln regionale veneto e medaglia d'argento al valor militare, dedicò questa poesia intitolata:


 La Rita more
Conto ‘na storia de parole fonde
che restarà par sempre sora un monte:
‘na mama che no lassa i so butèi,
‘na sorela che resta coi fradèi.

Piantada salda drento ai so scarponi
la marcia Rita fra le vale e i monti,
la fa i sentieri più sicuri e sconti,
la ghe sbrissia ai todeschi fra le man.

E l’è pena rivada la stafeta
fra i partigiani del monte Comùn,
che càpita de corsa ‘na vedeta!
“Gh’è patuglie todesche che vièn su”.

Se scolta qualche cioco da distante:
“Butèi ghe semo” dise el comandante.
Cole bombe coi mitra nele man
i se cuacia par tera i partigiàn.

E dise el comandante: “Senti Rita,
vien avanti todeschi da ogni parte,
ma se te cori sùbito zo a drita
longo el progno, ghé tempo par salvarte.
Sluse la vita, là, verso el progno,
la vita ciama
ànema, carne, istinto, sogno
de na butèla
dal cor strucado come na pàssara
calda spaìsa
che man de giasso
la brinca e stòfega

Sbate le palpebre
sora duo ci grandi crussiadi
che serca e beve
verde de foia,
svolo de usèi,
vampa de sol,
ma po’ i se cala sora i butei
longhi distesi, scuri par tera
come dei morti.

“Spéssega Rita” dise un partigiàn
e n’altro el ghe fa segno de andàr via
e n’altro el la saluda cola man ...

La tenaressa e la malinconia
splende sul viso bianco de na mama;
la testa drita
la vose calma
dise la Rita:
“Vuialtri gavì voia de schersàr”.

      Salda piantada
      nei so scarponi
      drita la testa
      la Rita resta.

“Vuialtri gavì voia de schersàr”
e l’à pena finido de parlàr
che la mitraglia la ghe impiomba el cor.

       Longa destesa
       casca la Rita
       le ponte in alto
       dei so scarponi,
       la man se gricia
       sul cor spacado,
       só da la boca
       el sangue córe:
       la Rita móre.

Na mama no la mola i so butèi,
na sorela la resta coi fradèi.



Rita, è passà dies’ani da quel’ora
E ghè na chiete granda sora i monti,
ma le cinque parole iè là ancora
e l’è più caldo el rosso dei tramonti,
iè più bianche d’inverno le falive
e de note le stele iè più vive.


Sinque parole ià cambiado un monte.
E a desso, a mila a mila, quei de alora
iè tornadi sul monte a saludarte,
i morti iè vegnudi insieme ai vivi
e tuti me fa segno de parlarte.


Eco: te parlo sotovose, Rita,
a nome de la gente tuta quanta
che capina le rampe del Calvario,
e par quele parole nude e s-cete
che t’è dito donandone la vita,
te fèmo santa
Rita partigiana:


Rita, la Santa del monte Comune
Dale cinque parole benedete
Che restarà par sempre sora ‘l monte.

POESIE lette da CORINNA ALBOLINO


Sei la mia schiavitù sei la mia libertà

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro




LA MIA CASA E IL MIO CUORE
(SOGNO DI LIBERTÀ)


Se un giorno tornerò alla vita
la mia casa non avrà chiavi:
sempre aperta, come il mare,
il sole e l’aria.



Che entrino la notte e il giorno,
la pioggia azzurra, la sera,
il pane rosso dell’aurora;
la luna, mia dolce amante.



Che l’amicizia non trattenga
il passo sulla soglia,
né la rondine il volo,
né l’amore le labbra. Nessuno.



La mia casa e il mio cuore
mai chiusi: che passino
gli uccelli, gli amici,
e il sole e l’aria.


Marcos Ana

CONDIVISIONI, APPUNTAMENTI, INFORMAZIONI

Carissime amiche di penna e nuove amiche e amici di poesia
Credo che possiamo pensare con soddisfazione alla bella serata di ieri sera. Tutto perfetto.
Quindi si va avanti.
Mandate le poesie che avete letto e cominciate a pensare al prossimo incontro.
Ricordo a tutte e tutti che l'appuntamento è per lunedì 7 maggio 2012 :
  •  alle 20.00 per chi preferisce cenare frugalmente con lo Spuntino del Poeta  (pan, bondola e vin)
  • alle 20.30 per la lettura e l'ascolto delle poesie
Ricordo che la tematica che tratteremo la prossima volta è:


"Spesso il mal di vivere ho incontrato ..."


 
sollecitazione da una poesia di Eugenio Montale (Genova 1896 - Milano 1981) da Ossi di Seppia, 1925
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.