Incontri mensili di divagazioni poetiche

D i v a g a z i o n i p o e t i c h e

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini



21 febbraio 2013

IL PASSERO SOLITARIO di Giacomo Leopardi letto da Franco De Grandis

 D’in su la vetta della torre antica,
 passero solitario, alla campagna
 cantando vai finché non more il giorno;
 ed erra l’armonia per questa valle.
 Primavera dintorno
 brilla nell’aria, e per li campi esulta,
 sì ch’a mirarla intenerisce il core.
 Odi greggi belar, muggire armenti;
 gli altri augelli contenti, a gara insieme
 per lo libero ciel fan mille giri,
 pur festeggiando il lor tempo migliore:
 tu pensoso in disparte il tutto miri;
 non compagni, non voli,
 non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
 canti, e così trapassi
 dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
 
 Oimè, quanto somiglia
 al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
 della novella età dolce famiglia,
 e te german di giovinezza, amore.
 Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
 non curo, io non so come; anzi da loro
 quasi fuggo lontano;
 quasi romito, e strano
 al mio loco natio,
 passo del viver mio la primavera.
 Questo giorno ch’omai cede alla sera,
 festeggiar si costuma al nostro borgo.
 Odi per lo sereno un suon di squilla,
 odi spesso un tonar di ferree canne,
 che rimbomba lontan di villa in villa.
 Tutta vestita a festa
 la gioventù del loco
 lascia le case, e per le vie si spande;
 e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
 Io solitario in questa
 rimota parte alla campagna uscendo,
 ogni diletto e gioco
 indugio in altro tempo: e intanto il guardo
 steso nell’aria aprica
 mi fere il Sol che tra lontani monti,
 dopo il giorno sereno,
 cadendo si dilegua, e par che dica
 che la beata gioventù vien meno.
 
 Tu, solingo augellin, venuto a sera
 del viver che daranno a te le stelle,
 certo del tuo costume
 non ti dorrai; che di natura è frutto
 ogni vostra vaghezza.
 A me, se di vecchiezza
 la detestata soglia
 evitar non impetro,
 quando muti questi occhi all’altrui core,
 e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
 del dì presente più noioso e tetro,
 che parrà di tal voglia?
 Che di quest’anni miei? che di me stesso?
 Ahi pentirommi, e spesso,
 ma sconsolato, volgerommi indietro.
.

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